Indice
È argomento controverso se Adamo in paradiso abitasse una casa o vivesse en plein air. La questione è interessante perché, tradotta nella nostra attualità, può aiutarci a capire se sia più paradisiaco un ambiente naturale privo di tracce antropiche – cioè selvatico – ovvero un ambiente naturale interpretato, curato, integrato dalla sapiente mano dell’uomo. Che è un po’ come chiedersi se l’uomo sia necessario al paradiso o se questo possa fare a meno del suo abitatore e magari esserne addirittura disturbato. Le opinioni si dividono tra chi pensa all’umanità come ad un incidente di percorso dell’evoluzione, come ad una imbarazzante presenza da tollerare, sorta di male da contenere e chi – al contrario – ritiene che questa stirpe di Caino, peccaminosa finché si vuole, sia comunque parte integrante del creato e debba solo mettere – una buona volta – la testa a partito e trovare i modi per stipulare una giusta alleanza con la natura.
Einstein e la Luna
Ci sono del resto buoni motivi per ritenere, come ci suggeriscono gli scienziati, che non esista realtà (e quindi paesaggio) senza l’uomo che lo osservi e che, con l’atto di osservare, in certo modo lo crei. Sembra che alla domanda di Einstein se la Luna esiste quando non la guardi la risposta – giusta anche se controintuitiva – sia che non esiste: sarebbe quindi il nostro sguardo ogni volta a ri-crearla! Stando così le cose non potrebbe esistere un paradiso senza un abitatore che lo osservi e lo ri-crei ad ogni istante. E in effetti non sembra che le cronache parlino più del giardino dell’Eden dopo la cacciata. Disabitato, senza sguardi umani a mantenerlo esce dalla storia e si dissolve mentre a noi resta solo di approssimarlo in terra come possiamo.
Adolf Loos, il moralista, si è espresso chiaramente considerando virtuosa l’opera di edificazione che ha prodotto i borghi storici, le case rurali e in generale l’opera spontanea di chi – senza la scienza artificiale dell’architettura – senza le più svariate intenzioni espressive che distinguono l’opera degli architetti, ha saputo nei secoli produrre e abitare quell’ineffabile mix di artificio-natura che tanto apprezziamo nel paesaggio. Ha stigmatizzato – al contrario – il velleitarismo dell’architetto che pretende di essere “originale” ricercando ogni lunedì mattina una nuova espressione formale. Confortati dalle parole di Loos possiamo quindi considerare che la giusta via all’alleanza di artificio e natura, quella in grado di produrre il miglior paesaggio, di ri-produrre l’Eden passi per l’applicazione – priva di velleità espressive fine a se stesse – delle sapienti pratiche del ben costruire. La bellezza del costruito, non diversamente dalla bellezza femminile, non si concede a chi la desidera esplicitamente, a chi la insegue e la pretende, ma piuttosto a chi mostra di meritarla. Due versi di una poesia di Hölderlin dicono: “Questo credo io piuttosto. La misura umana è tutta qui./ Pieno di merito, ma poeticamente abita l’uomo su questa terra”.
Perché l’artificio è mal visto da urbanisti e controllori
La poesia dell’abitare, la perfetta alleanza di artificio e natura sta appunto in questo essere “pieno di merito” dell’uomo che invece di inseguire forme accattivanti, forme inedite e seducenti, superato il barocchismo secondo cui “è dell’arte il fin la meraviglia”, si pone il problema di edificare con merito, cioè con pazienza e amore, con studio e applicazione, una dimora adatta a sé e che non dispiaccia ai Celesti, seguendo le leggi della natura quasi a proseguirne l’opera.
La moderna organizzazione della società tenta di garantire per legge l’armonia di artificio e natura, di assicurare democraticamente frammenti di paradiso a sette miliardi e passa di esseri umani attraverso un inferno di altrettanti miliardi di leggi e norme: piani paesistici, norme edificatorie, vincoli e soprintendenze sono i presidi attraverso i quali si tenta l’opera di tutela del paesaggio. Si tratta di strumenti messi a punto dall’uomo e tuttavia la ratio prevalente che li anima – a ben guardare – sembra propendere per la prima delle due opinioni in cui si divide la cultura contemporanea: quella che pensa all’umanità come ad una sorta di male da contenere. L’artificio, l’edificazione è considerato, dagli strumenti urbanistici e dalle autorità di controllo, con sospetto, come un male oggettivo, retaggio del peccato originale, di cui valutare soprattutto l’aspetto quantitativo non potendo entrare più di tanto nel merito degli aspetti qualitativi. Una mela è una mela, poco importa se renetta o golden delicious: la proibizione vale per tutte! Quindi la tutela passa per il controllo della quantità, auspicabilmente tendente a zero, lasciando del tutto inesplorato l’aspetto qualitativo.
Casa Malaparte a Capri, un capolavoro artificiale
Avete presente Casa Malaparte a Capri? Quel singolare e famoso edificio inerpicato sulla punta di Capo Massullo divenuto oggetto di culto celebrato in noti film e ormai presenza caprese
irrinunciabile? Senz’altro un caso limite, ma si tratta di un miracolo del tutto illegale realizzato in zona inedificabile grazie all’amicizia di Malaparte con Galeazzo Ciano, all’epoca ministro degli esteri del regime. Ha detto il poeta inglese Alfred Edward Hausman “io non so che cosa sia la poesia, ma la riconosco quando la sento”. Penso che se fosse toccato a me rilasciare la concessione edilizia, mai avrei permesso di costruire a Curzio Malaparte quando Capo Massullo era ancora vergine, ma ora che la casa c’è ne riconosco la poesia e mai penserei di promuoverne la demolizione. Il paesaggio intatto di Capri è un dono della natura. L’attuale paesaggio con la presenza della casa è un dono divino, una grazia tanto inattesa e fortuita quanto preziosa. Per la cronaca: si tratta di architettura senza architetto, autogestita dal committente-proprietario con l’aiuto di un capomastro locale. Si potrebbe quindi dire che la casa sia venuta su generata dalle forze ctonie e dal genius loci di Capri. L’architetto Adalberto Libera – infatti – firmò solo il progetto depositato al Comune per la concessione: totalmente diverso (e di gran lunga meno affascinante) rispetto alla realizzazione dalla quale fu estromesso.
La Casa sulla cascata, un altro capolavoro per nulla naturale
Pensate ora ad un altro famoso capolavoro di architettura moderna: Casa Kaufmann di Frank Lloyd Wright a Bear Run (Pennsylvania) nota anche come “Fallingwater o Casa sulla cascata”.
Anche considerando lo strapotere della famiglia Kaufmann e la dimensione sterminata della tenuta circostante, nel 1936 non avrei mai considerato appropriato costruire una casa proprio a cavallo di un pittoresco e affascinante salto d’acqua tra i boschi. Ma ora la casa esiste, il miracolo si è manifestato. Riconoscendone la poesia farei scudo con il mio corpo ad ogni tentativo di abbatterla come abuso. Ma io non sono un Soprintendente. Non so se una Soprintendenza potrà mai trascendere la dimensione burocratica della norma omologante valida per tutti e adatta a nessuno, né se potrà mai entrare nel merito della qualità del costruito oltre che della quantità dei metri cubi, ma mi piace pensare che sia possibile trovare il modo per esercitare una tutela ambientale lungimirante e non cieca e sorda alle peculiarità dei singoli casi e dei singoli luoghi.
A proposito di casi e di luoghi, sempre Adolf Loos che in quanto austriaco non disponeva di paesaggi marini iniziava, per dimostrare le sue idee sul paesaggio e sull’architettura, col dire: “posso condurvi lungo le sponde di un lago montano?”
Il Paradiso in terra: la casa di Fazioli sull’Argentario
Bene, ora io vi dico, per ragionare sulla mia idea di paesaggio, di paradiso e di casa di Adamo: posso condurvi lungo le sponde del Mar Tirreno, alle falde dell’Argentario che guardano a Occidente per mostrarvi come pieno di merito, ma poeticamente abiti un uomo?
Qui infatti si trova la versione di paradiso in terra secondo Ennio Fazioli: artista, designer, fondatore d’azienda e manager il quale, ritiratosi dagli affari, ha dedicato otto anni della sua vita ad ascoltare il genius loci dell’Argentario, a far sì che la ripida pendice verde del Monte mantenesse integra la sua natura, conservandone morfologia, aspetto, persino ogni singolo albero, modellandola ad accogliere anche qualche segno antropico, testimonianza dell’eredità antica dell’homo faber. Ed ecco che alcune caute e sapienti integrazioni intervengono a realizzare un παράδεισος accarezzando il luogo trovato con la cura amorevole dell’abitare poetico e dello sguardo creativo dell’uomo. Heidegger ha scritto un saggio che si intitola “costruire, abitare, pensare” ponendo i verbi in un ordine che antepone l’atto del costruire sia a quello dell’abitare, sia a quello del pensare. Si, perché il ben costruire è atto antropologico, porta in sé l’esperienza delle generazioni, è iscritto nel nostro patrimonio genetico prima ancora che nel pensiero individuale.
Bene, questa casa non è costruita per essere guardata, ammirata, non si dà come opera mirabile anche se poi finisce per diventarlo. L’autore-abitatore non ha solo ascoltato il genius loci, è stato anche da questi a sua volta ascoltato. Pietra naturale, legno, tela, vegetazione proteggono la dimora-osservatorio che, ospitando l’uomo e il suo sguardo, legittima la stessa esistenza del paesaggio nel quale si inscrive e che contribuisce a formare. Ancora una volta il miracolo felicemente si manifesta. Deus nobis haec otia fecit. Che i Celesti siano propizi e non giunga l’inferno a turbare l’armonia del paradiso.